Etica, cooperazione, integrazione, le parole d’ordine del Candidato Pietro Tarasi nelle liste di Callipo
Intervista di Giorgio Durante
Incontrare Pietro Tarasi, nella veste di candidato alle prossime regionali, mi incuriosisce molto, ci siamo visti più volte in contesti completamente differenti, anzi una delle ultime volte, metteva a dimora con l’aiuto di diversi lavoranti un milione di piantine di ortaggi, nei suoi terreni a Torre Garga, in Sila. Devo dire di lui che ama seminare ed è, qualità più unica che rara in Calabria, inclusivo, uno che davvero crede del lavoro di squadra, il successo della Patata della Sila, sui mercati di tutta Italia è frutto di un lavoro di squadra che Tarasi ha saputo mettere insieme e soprattutto motivare.
Anche la gestione della Federazione provinciale coldiretti, di cui è stato Presidente, è stata caratterizzata da una visione ampia, moderna e innovativa. Chi lo conosce, riconosce in lui la coerenza e una forza ideologica mai sopita, motivo per cui è stato normale ritrovarlo in campo questa volta da candidato, in un contesto generale della politica pervaso dalla mancanza di valori morali ed etici, non solo, ma anche da una vuotezza ideologica e di proposte.
Viene, però, spontanea la domanda se questo era il momento giusto per candidarsi, dopo una gestione del PD negli ultimi cinque anni che viene considerata come una delle più fallimentari degli ultimi anni.
Tarasi deve essere ideologicamente fortemente motivato per tentare questa avventura, visto le premesse.
“Credo che occorra estendere il giudizio negativo a più di una legislatura. Se osserviamo i dati salta agli occhi come tutti gli indicatori economici e del benessere siano fortemente negativi. Chiaramente questo stato di cose deriva da una sedimentazione di politiche sbagliate e di scelte che, in assenza di una visione, hanno inseguito le urgenze. La mia scelta, ancorché ideologica, è stata dettata dal non voler più stare a guardare senza reagire lo stato di degrado in cui versa la nostra regione. Degrado economico, sociale e culturale. Ritengo che l’occasione di queste elezioni cada in un momento importante dovendo avviare la nuova programmazione dei fondi europei per i prossimi 7 anni.
Il Presidente Callipo, consapevole della responsabilità che ciò comporta, ha preteso un rinnovamento nelle liste che lo sostengono con persone che possano avere le competenze necessarie ad affrontare questa sfida. Il rischio che si corre è che nel tentativo di conciliare interessi di bottega e con personale politico ormai fortemente compromesso, si possa ipotecare il futuro di questa regione. Basta guardare chi oggi si candida nella destra e ci si rende conto di quanto governo del passato stia ritornando a galla. Credo che già solo questo potrebbe bastare a motivarmi.
Mi pare di capire che mentre da più parti si dichiara la fine della politica intesa come scelta di campo ideologica, proprio per questo si verificano transumanze inimmaginabili anche di soggetti presenti in giunta con Oliverio e oggi candidati nel centro destra, lei sia di tutt’altro parere.
La politica deve essere appartenenza anche se critica. Con ciò non intendo una mera scelta di spazio geografico, bensì una adesione a principi fondanti per l’uno o l’altro schieramento. Oggi, perseguendo una politica del fare, si riduce tutto all’amministrare i problemi e si rinuncia a programmare e ad affrontare le questioni più pregnanti. Assecondare questo modo di far politica comporta che si facciano scelte opportunistiche e non si aderisca ad una visione condivisa dell’agire politico. Chi si candida in questa competizione dichiara di voler cambiare le cose e indica un mero elenco di problemi che attanagliano la nostra regione. Tutti parlano del cosa e pochi del come. Si affrontano temi complessi manifestando le proprie opinioni come se fossero verità assolute e inseguendo le piazze spesso istigandole e mai governandole. In un contesto politico così degradato cambiare opinione e schieramento viene facile. Le cose necessarie da fare di per sé non hanno un colore politico e possono appartenere indifferentemente a chiunque. Il modo di affrontarle e con quali priorità può fare la differenza.
Dott. Tarasi lei viene dal mondo dell’agricoltura nel quale è riuscito a fare ciò che molti ritenevano una missione impossibile in Calabria, un consorzio di produttori che ha raggiunto anche dei risultati importanti. Leggendo alcune sue note puntualmente parla di logica di cooperazione ed interdisciplinarità e di gioco di squadra ritiene di poter mutuare le esperienze fatte in contesti diversi per amministrare la cosa pubblica?
Nella mia presentazione a questa competizione elettorale ho sottolineato, parafrasando il titolo di un famoso romanzo, il fatto che “non ci si salva da soli”. Con ciò intendo la necessita di affrontare le sfide che la modernità ci impone con una logica di cooperazione ed interdisciplinarietà. La complessità e la dimensione di problematiche che riguardano temi quali l’ambiente, il welfare, il lavoro non possono essere risolte con approcci semplici e con opinioni da bar. Necessitano di approfondimenti e competenze multiple ma soprattutto di una visione e di una direzione. Non si può pensare che si programmi lo sviluppo senza tener conto dell’equità e che alcune politiche, o assenza di politiche, porti ad aumentare il divario economico e sociale tra le persone. Il comportamento che io ho assunto nella mia professione ha fatto si che si potessero ottenere risultati grazie a tutti le persone che vi hanno partecipato, ognuno con il proprio ruolo e secondo le proprie competenze, costruendo un ambiente di reciproca fiducia e collaborazione tali da determinare una sinergia e sfruttando la ricchezza dei diversi punti di vista. Mi rendo conto che nella PA tutto ciò è più difficile a causa di comportamenti e privilegi sedimentati, ma non si possono immaginare altre strade.
Lei parla di Ripristinare la credibilità delle istituzioni democratiche, ma nelle diverse liste sia a destra che a sinistra troviamo personaggi o “travestiti” che hanno avuto un ruolo nel minare la credibilità delle istituzioni stesse, come se ne esce?
La mala politica è una pianta che va estirpata. Fino a quando ci sarà la rincorsa ad una carica pubblica sganciandola da un progetto politico il risultato sarà solo quello dettato dal proprio interesse. Negli ultimi anni è stato perpetrato un attacco sistematico alle istituzioni democratiche in modo subdolo e si è fatta della denigrazione un sistema di confronto politico. Portare la politica in piazza o nella rete ha fatto perdere a chi rappresenta le istituzioni quella autorevolezza necessaria che era data dalla conoscenza dei fatti e dal rispetto delle regole. Le regole democratiche che trovano fondamento nella nostra Costituzione, rappresentando dei principi fondanti e che sono stati il frutto di una mediazione di interessi volti a tutelare i diritti del cittadino ed a un rispetto dei beni comuni. Da qualche tempo è proprio la costituzione sotto attacco e lo è ancor di più il principio della rappresentanza a causa della continua denigrazione nei confronti della classe politica additata appunto come casta. Ripristinare la credibilità e l’onorabilità delle istituzioni passa necessariamente da un uso parsimonioso della propria immagine e da una assunzione di responsabilità e serietà che attiene alla tutela degli interessi generali. Fino a quanto tutto ciò non sarà ripristinato ognuno si sentirà legittimato ad assumere comportamenti opportunistici.
La sua ricetta in cinque punti per tentare un cambio di tendenza.
Non esiste una ricetta che possa determinare un cambio di tendenza. In cucina ingredienti semplici se dosati con sapienza possono dare luogo a piatti eccelsi. Quello che importa è la qualità degli ingredienti. Fuori da metafora, quello che occorre per poter ottenere dei risultati deve partire necessariamente dalla formazione e quindi dalla scuola. Formare la persona tanto da renderla un cittadino consapevole e che si senta parte di una comunità è la strada da percorrere. In secondo luogo bisogna concepire la politica come servizio e non come opportunità per chi la intraprende. Puntare a garantire i diritti fondamentali a partire dalla accessibilità ai servizi alla persona e ad un welfare di qualità ridurrebbe quella tassa occulta che paga ogni cittadino nel rivolgersi alla mediazione del privato in una logica aziendalista che ha visto negli anni privatizzare gli utili e accollare al pubblico i costi. Infine un approccio globale alla gestione del territorio inteso sia come luogo della produzione che come organismo da tutelare. Ciò deve necessariamente superare il concetto della sostenibilità e accogliere il principio dell’integrazione intesa come unità armonica degli elementi e delle politiche che costituiscono il territorio. Perseguire queste politiche nell’interesse pubblico e con un approccio serio e programmato evitando uscite estemporanee volte ad accaparrarsi il consenso è la strada maestra per provare a cambiare la tendenza.
Sentire parlare di etica, di politica come servizio e non come opportunità, di principio dell’integrazione intesa come unità armonica degli elementi e delle politiche che costituiscono il territorio, non può che apprezzarsi come questo approccio sia profondamente differente rispetto a chi intende la politica, finalizzata, attraverso proposte effimere tese solo a carpire la speranza e la buonafede di un popolo sofferente, all’obiettivo di accaparrarsi il consenso a proprio beneficio e dei pochi clientes che lo circondano.