Corigliano Calabro Fotografia, il festival che omaggia l’arte e la cultura, è giunto alla sua XVIII edizione.

di Marilia Argentino

 

Si è svolta dal 3 al 5 settembre 2021 la XVIII edizione di Corigliano Calabro Fotografia, il festival annualmente organizzato dall’Associazione Culturale Corigliano per la Fotografia nelle lussuose sale del Castello Ducale di Corigliano, che si conferma, dichiara il Presidente Gianzi, “un contenitore prezioso dell’evento”.

Il festival, superata ormai la “maggiore età”, ha visto anche quest’anno la partecipazione di alcuni tra i più illustri nomi del panorama nazionale e internazionale nel campo della fotografia.

Nel corso dei tre giorni, dopo l’introduzione  del Direttore Artistico e Presidente dell’Associazione Gaetano Gianzi, i saluti istituzionali del Sindaco della Città di Corigliano-Rossano Flavio Stasi e la presentazione degli autori della mostra fotografica, visitabile fino a domenica 31 ottobre, si sono tenuti due interessanti workshop: uno sulla vita dei nostri pescatori (Mare Nostrum, condotto da Francesco Cito), tema a noi coriglianesi molto caro, e l’altro sul lavoro che il fotografo deve compiere per trasformare un’idea in una storia da raccontare (Dal progetto al Portfolio di Angelo Ferrillo). Si sono poi susseguiti incontri e presentazioni di libri e video, la proclamazione del vincitore della II edizione del Corigliano Calabro Fotografia BOOK AWARD e dei vincitori del Portfolio Jonico, tappa del rinomato circuito di Portfolio Italia della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, ed infine il concerto di musica classica con il violino di Simona Bruno e il pianoforte di Nino De Gaudio.

Un’edizione, quella da poco conclusasi, particolarmente significativa, simbolo di un ritorno a quella “normalità” a cui la pandemia ci aveva costretti a rinunciare e di cui solo adesso comprendiamo l’importanza.

È nella normalità, infatti, che scopriamo le gioie della vita. “È nella banalità” – dice il Presidente Gianzi – “che la sensibilità del fotografo riesce a cogliere, catturare ed esprimere la bellezza del mondo”. La fotografia, quindi, si rivela un’arte attraverso cui celebrare la bellezza di quella normalità, di quel quotidiano di cui ci stiamo finalmente e lentamente riappropriando.

Normalità significa anche tornare a festeggiare le ricorrenze, dai compleanni alle Lauree e ai matrimoni. La fotografa coriglianese Clorinda Scura riparte proprio dal giorno del matrimonio, da molte persone considerato il più bello della loro vita. Ma i suoi Protagonisti di nozze non sono gli sposi, bensì gli invitati.

Spesso, infatti, la sposa è troppo indaffarata a vestirsi e truccarsi e non si accorge dello sguardo commosso della nonna che ripensa a quando la sua nipotina era ancora una bambina; così, lo sposo, anch’egli preso dai preparativi, potrebbe non notare la lacrima che riga la guancia della mamma, consapevole del fatto che il suo “piccino” sta per lasciare definitivamente il nido. C’è poi la bambina che origlia incuriosita dallo spiraglio della porta, o ancora la vecchia zia che guarda con stupore i palloncini e gli addobbi floreali. Come dice Clorinda, è questa l’anima della festa: gli amici che sorridono, i parenti che ballano, i bimbi che giocano, i nonni e i genitori che piangono di gioia e commozione.

Sin dalla sua ideazione, elemento peculiare dell’evento è stato quello di affidare ad un autore di prestigio la lettura del territorio di Corigliano e della sua gente. Quest’anno la scelta non poteva che ricadere su Lorenzo Cicconi Massi, fotografo presso l’Agenzia Contrasto e regista cinematografico. Nel suo lavoro, dal titolo I ragazzi di Calabria, egli ha voluto rendere omaggio alla giovialità, all’allegria e alla spensieratezza dei nostri ragazzi, tutti di età inferiore ai 18 anni, dei numerosi studenti che mai avrebbe pensato di trovare in un luogo che nel suo immaginario “era abitato solo da anziani e da qualche gatto”. L’artista è riuscito a catturare nei suoi scatti l’energia tipica degli adolescenti, la voglia di vivere trasmessa dai loro occhi quasi incandescenti e dai loro corpi danzanti in riva al mare.

Dalla grinta dei giovani coriglianesi ad una determinazione ancora più motivata: quella dei Quatrani di Danilo Garcia Di Meo, giovane autore di fotografia sociale-documentaria. I quatrani nel dialetto aquilano sono i ragazzi. E gli adolescenti aquilani di oggi sono stati i bambini che dodici anni fa vissero l’incubo del terremoto e persero per sempre quella che era la loro città. Sono ragazzi che non riescono a ricordare l’Aquila di una volta e che provano ad immaginarla esplorandola fin nei vicoli più stretti. “La città l’abbiamo scoperta scavalcando transenne, per scoprire quel che ricordavi o non sapevi” dicono; e ancora:  “Dicono che l’Aquila era bella, ma come faccio io ad immaginarmela?”. Ma questi giovani, pur cresciuti senza quei punti di riferimento urbani a cui noi siamo abituati, senza piazze né strutture di ritrovo e aggregazione, hanno potuto contare su una sorprendente resilienza affettiva e sui rapporti di amicizia sincera che hanno saputo instaurare e che l’autore è riuscito a mostrare. Dalle fotografie traspare tutta la loro gioia nello stare semplicemente insieme, perché come dice uno di loro “Dopo che il terremoto ti toglie i luoghi, i luoghi ce li creiamo noi; non c’era niente, ma io avevo tutto quello che mi serviva: il mio gruppo, i miei amici che mi volevano bene”.

Anche il fotografo palermitano Francesco Faraci ha voluto raccontare la sua terra, la Sicilia, immortalando scorci di vita della sua gente, piccoli dettagli in grado di evocare odori, sapori e sensazioni che diventano memoria. Il suo Atlante Umano Siciliano ritrae un popolo che spesso si autolimita, vittima del suo complesso di essere isola, isolato dal resto del mondo.

La splendida Sicilia è stata ulteriormente omaggiata da un altro suo figlio, il fotografo professionista Roberto Strano. Ispirandosi al Realismo letterario di Leonardo Sciascia, l’autore ripropone la medesima corrente realista in chiave fotografica con Compagni di viaggio, una lunga serie di scatti ripresi dal suo libro, che ritraggono eminenti maestri della fotografia, accomunati dalla loro passione e dal loro essere orgogliosamente e indelebilmente siciliani, eredi di quell’immenso patrimonio umano e culturale che uomini di grande valore come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Luigi Pirandello, Giovanni Verga e lo stesso Sciascia hanno lasciato.

Dalla Sicilia a tutta l’Italia, dall’Italia alla Norvegia. Skrei – Il viaggio è la storia raccontata dall’autrice Valentina Tamborra, la storia del viaggio compiuto dal nobiluomo e mercante veneziano Pietro Querini, che col suo equipaggio salpò nel 1432 dalle coste italiane, arrivò a toccare varie città della Norvegia e naufragò sulle coste delle allora sconosciute Isole Lofoten, alle soglie del Circolo Polare Artico. Qui la sopravvivenza fu possibile solo grazie alla pesca e al consumo del merluzzo, lo skrei, un pesce che migra, che viaggia per riprodursi e dal cui nome deriva a skrida, che in antica lingua vichinga significa appunto “viaggiare, migrare”. Fu proprio da questa esperienza estrema che ebbe origine il mercato ittico del merluzzo che da Venezia si diffuse in tutta Italia. Questa è la storia di un pesce povero, che, proveniente dal ghiaccio e dal gelo del Polo Nord, diventa un’eccellenza enogastronomica italiana. È la storia del legame indissolubile venutosi a creare tra l’Italia e la Norvegia.

Soul of the cities: Havana del fotografo milanese Roberto Polillo è una selezione tratta dai suoi viaggi a Cuba, avvenuti tra il 2014 e il 2018. Ciò che preme all’autore non è restituirci la tipica immagine da cartolina che illustra le meraviglie di una città, ma è comunicarci l’atmosfera, lo spirito, la “magia” che si celano dietro quella città. Per tal motivo i suoi scatti sono tutti mossi, affinché  il nostro occhio capti quella particolare relazione esistente tra forme e colori che dona ad ogni singola località un’atmosfera unica, affinché sia possibile scrutare aspetti della realtà che altrimenti rimarrebbero occultati.

Spostiamoci in Puglia e ammiriamo Barletta, una città sospesa del materano Antonello Di Gennaro. Evitando di riprendere negli scatti autoveicoli o altri oggetti moderni che consentano di determinarne la collocazione temporale, l’autore, grazie anche ad un sapiente effetto di luci (delle quali vuole evidenziare l’importanza nella tecnica fotografica), mostra una città dai toni grigi e soffusi, piuttosto che illuminata dall’abbacinante sole del Sud, come se si trovasse sospesa nei remoti anni del Medioevo.

A ulteriore dimostrazione di quanto la scelta di una specifica tecnica riesca a veicolare la forza di un messaggio, ecco Milano la città che sale del comasco Giorgio Galimberti. Giochi di luci, ombre e riflessi, figure umane che si allungano, si assottigliano e si verticalizzano, il bianco e il nero assoluti mostrano una Milano trasformata e surreale, che in qualche modo richiama la dinamicità estremizzata del dipinto La città che sale del pittore futurista Umberto Boccioni.

Ma se la tecnica permette di conferire l’aura romantica dei luoghi che si perdono nel tempo o di dare a un’immagine energia e movimento, essa può anche generare vere e proprie trasfigurazioni. Ne è un esempio la superlativa raccolta di Michele Di Donato dal titolo Human surfaces. Tra ombre, sdoppiamenti, sublimazioni, tra corpi che si muovono e che sembrano assumere più posizioni contemporaneamente e volti rosso sangue che emergono da un fondo nero come la pece, l’autore ha inteso rappresentare la parte più torbida della natura umana, quella forza sinistra che ci può catturare e condurre giù, nei profondi meandri della nostra psiche, negli oscuri abissi dell’inconscio.

L’inconscio umano è quel regno inesplorato dal quale potrebbe affiorare qualsiasi cosa: il genio come la follia, la santità come la più spietata crudeltà. L’inconscio umano ha partorito opere artistiche di inestimabile pregio, così come invenzioni diabolicamente distruttive. Pensiamo alle armi nucleari e al crimine dei test nucleari eseguiti nel poligono di tiro di Semipalatinsk in Kazakistan.

Il pluripremiato fotografo e filmmaker Pierpaolo Mittica ha voluto denunciare, con la sua arte, le atrocità perpetrate a Semipalatinsk, dove furono fatte esplodere 456 testate atomiche dal 1949 al 1989. Oggi restano una terra altamente contaminata e resa inutilizzabile per centinaia di migliaia di anni ancora e una popolazione vittima delle radiazioni, che anche a distanza di 30 anni dalla fine degli esperimenti soffre di mutazioni genetiche, malformazioni alla nascita e tumori. Questo rappresenta senza dubbio uno dei più grandi crimini contro l’Umanità mai commessi, di cui troppo poco si parla. Interi villaggi non vennero fatti evacuare proprio all’orribile scopo di usare quelle povere persone come cavie per studiare le conseguenze delle radiazioni nucleari sugli esseri umani.

Il nostro viaggio attraverso le immagini che scorrono sulle pareti della mostra fotografica continua verso l’estremo nord della Russia, ai confini del Circolo Polare Artico. Ci troviamo precisamente al Military restricted border di Mezen. Lì, a 800 km di distanza, vi è la base spaziale di Plesetks, da cui vengono lanciati satelliti nello spazio ed i razzi che li supportano, una volta sganciati, cadono proprio nella tundra che circonda i villaggi di Mezen. Con Cosmodrome il fotoreporter e documentarista Raffaele Petralla vuol farci conoscere la realtà di un territorio ostile e pericoloso, i cui fattori climatici e ambientali lo rendono quasi invivibile e a cui si aggiunge il costante pericolo dei razzi che precipitano dal cielo. Gli abitanti dell’area vivono di caccia e pesca e recuperano i resti dei razzi, riciclando i metalli di cui sono composti: dalle parti esterne estraggono il dural con cui costruiscono slitte e barche, da quelle interne ricavano oro e titanio, che poi rivendono a peso.

A causa della presenza nell’aria di una sostanza estremamente tossica, sono tantissimi i casi di cancro registrati in zona.

Vi sono, invece, alcune malattie che, pur non andando a compromettere la funzionalità degli organi, provocano un profondo disagio psichico. L’autrice Rosa Mariniello, di origini napoletane, ha presentato Vitiligo, un progetto fotografico nato dal proposito di suscitare empatia verso chi è affetto da vitiligine, una patologia della pelle non contagiosa né mortale, la cui eziopatogenesi è multifattoriale, ma che comporta un cambiamento fisico, a volte anche drastico. Da ciò deriva un complesso vissuto intimo, segnato dalla sofferenza nel dover accettare queste trasformazioni e nel dover rinunciare a parte della propria identità.

Il lavoro dell’autrice induce ad una riflessione sull’importanza da attribuire alla bellezza esteriore e ai canoni estetici che influenzano la società contemporanea. Spinge, inoltre, a tener conto delle conseguenze emotive della stigmatizzazione, che possono determinare l’insorgere di disturbi quali ansia, depressione, attacchi di panico e comportamenti autolesivi. Urge, allora, prendere coscienza di tali insidie e rimettere al centro la persona nella sua essenza unica e irripetibile, non più le effimere qualità estetiche di cui oggigiorno siamo letteralmente ossessionati.

Avvalendosi dell’azione introspettiva dell’autoscatto, l’autrice di San Giovanni Rotondo Maria Cristina Comparato racconta il suo delicato percorso personale, a partire dalla scoperta di avere un cancro metastatico al seno. Vediamo il suo corpo, così giovane, ingiustamente provato dai segni delle cure invasive e ferito nella sua femminilità. Il suo sguardo è fisso e pare perdersi nel vuoto di un ignoto che è impossibile prevedere.

La malattia, specialmente se invalidante, risveglia paure ancestrali, fa crollare ogni certezza, determina una crisi esistenziale che svela un’ineluttabile solitudine. Ma ecco che il potere della condivisione offre l’opportunità di esorcizzare pericoli e timori. Il corpo di Maria Cristina diventa il corpo di tutte le donne malate di cancro al seno, il suo sguardo diventa il loro sguardo. E il racconto della sua storia rappresenta la sua catarsi, non solo artistica, ma anche emotiva, perché mostrando se stessa e la sua malattia testimonia dinnanzi al mondo la sua esistenza e vince l’oscura forza che tenderebbe ad annientarla e annichilirla con la sua forza morale, con la sua capacità di creare cultura condivisa, con la forza Della presenza.

L’arte della fotografia possiede un grande potere: quello di raccontare con poche immagini storie di vita che si intrecciano, che emozionano e che restano nella memoria.

Il Festival di Corigliano Calabro Fotografia, grazie soprattutto alla dedizione del Direttore Gaetano Gianzi e dei suoi soci e collaboratori, si è rivelato ancora una volta un’occasione di profondo arricchimento, un evento che promuove cultura e che dona onore e lustro all’intero territorio