Odoardi, la Cassazione restituisce i beni che il Tribunale lametino aveva sequestrato.

La sentenza della Cassazione non lascia dubbi, e senza tergiversamenti restituisce con decorso immediato tutti i beni che il Tribunale di Lamezia aveva sottratto sequestrandoli a Gregorio Lillo Odoardi titolare dell’omonima e nota Cantina del Savuto. Che qualcosa non quadrasse in questa vicenda è apparso subito chiaro fin dal 2017 quando il tribunale di Lamezia decise di porre sotto sequestro i beni di Odoardi, provocando di fatto il blocco delle attività agricole in toto con enormi danni economici e di immagine alla nota e pluripremiata cantina Odoardi, titolare di alcuni dei marchi di vini più prestigiosi della regione, tra i quali Scavigna, Vigna Garrone DOC rosso. La vicenda nasce nel momento in cui va in liquidazione il Consorzio Scavigna a causa di una aspra contesa familiare sull’eredità del marchio e degli immobili. In un primo tempo il tribunale di Cosenza da ragione a Gregorio Lillo Odoardi, successivamente è il tribunale di Lamezia che gestisce le vicende giudiziarie nascenti della controversia, fino ad arrivare all’importante decisione del sequestro. Dalle carte processuali però emergono alcune decisioni  assunte che sollevano dubbi e perplessità a partire da pignoramenti di beni non pignorabili, e da attività investigative e relazioni non proprio ortodosse.  Qualcuno già al tempo del sequestro iniziò a bisbigliare su strane commistioni e legami di parentela tra alcuni operatori della giustizia e la controparte di Gregorio Lillo Odoardi. E’ proprio l’infondatezza di alcune decisioni, basate anche su relazioni ed indagini che sollevarono da subito più di qualche dubbio, che ha suggerito  il ricorso promosso dai legali di Odoardi, Ferdinando Palumbo e Antonio Iaconetti, gli stessi hanno posto all’attenzione della Suprema Corte tutti gli atti prodotti dal Tribunale lametino. La decisione della Suprema Corte di Cassazione pur restituendo a Gregorio Lillo Odoardi i beni  dandogli pienamente ragione,  d’altra parte evidenzia la superficialità e la spregiudicatezza con la quale si sono mossi altri operatori della giustizia. Una riflessione che nel momento della soddisfazione da parte di chi si è visto giustamente riconoscere i propri diritti   lascia l’amaro in bocca e apre tutta una serie di interrogativi, che forse meritano un approfondimento nelle aule di altri tribunali, terzi.