Razzismo Italico

di Francesca Librandi

Risulta veramente difficile comprendere in qualche modo un atteggiamento razzista di tale violenza come quello subito dal medico fiscale di origini camerunensi a Chioggia e descritto dalla moglie in una lettera dolorosa e amareggiata. Nel nostro Paese già tra un calabrese e un ligure c’è una differenza etnica e, tra l’altro, nel nostro Paese, c’è chi ha subito sulla propria pelle la diffidenza e lo sfruttamento del migrante economico, in ragione di ciò si fa ancora più fatica a dare un qualsivoglia senso a questa piaga dell’animo. Sicuramente è utile ricordare che nel dopo guerra anche dal nord Italia si migrava per trovare lavoro e sfuggire la povertà.

A dire il vero nemmeno la storia ci dà un qualche appiglio per riuscire a trovare ragioni alla base del razzismo radicato a questa latitudine in quanto l’impero romano è stato un impero multietnico e il colore della pelle del romano antico non era di certo chiara.

Fatta questa premessa, ed esprimendo vergogna come esseri umani rispetto alla violenza perpetrata nei confronti del medico camerunense, vorremmo spostare l’attenzione su di un fattore che spesso sfugge all’analisi e che riguarda una cultura strisciante e un poco atavica presente nell’animo di una buona parte del popolo italiano; si tratta di un egoismo profondo, violento e sempre affamato, che ci pone come singoli lupi di fronte alla comunità.

Un atteggiamento dove prevale l’interesse personale anche e soprattutto a discapito degli altri, che viene dettato da molti fattori sociali e individuali, tra i quali, un elemento che nell’animo egoico cresce esponenzialmente, cioè la paura. Infatti l’elemento appena citato viene spesso usato, nel nostro paese, come arma sociale di controllo, e questo si è anche ben evidenziato nel corso di questa pandemia dove l’azione delle istituzioni non si è basata sul rapporto di fiducia e sul senso di responsabilità dei cittadini, ma su di una promozione sistematica e mediatica della paura. A fronte di ciò risulta evidente che a muovere la violenza razzista dell’individuo clodiense, insieme all’odioso comportamento dei suoi vicini, è il considerare assolutamente normale, invece che vergognoso, rubare alla comunità per il proprio fine; nel nostro caso produrre un falso certificato medico per marinare il lavoro e andarsene al mare. Naturalmente non sarà parso vero al ladro in questione che il medico fiscale fosse una persona di colore per scatenare una violenza che si poggia su di una cattiva coscienza. Il danno che viene perpetrato sulla collettività, oltre all’infamia del razzismo, è il marchio del fannullone italico, del furbo che vuole lo stipendio senza lavorare e alle spalle del suo prossimo. Ora mi chiedo come dovrebbe reagire di fronte a questo un disoccupato, un lavoratore migrante, o autoctono, sfruttato e in nero? Come si giustifica l’idea che il cosiddetto straniero ci ruba il lavoro? Noi diremmo al contrario che a rubare il lavoro a tutti è il furbo cittadino geneticamente certificato di Chioggia verso il quale sarebbe più corretto nutrire una sana discriminazione, un prendere le distanze, marcare una non appartenenza.

 

Comitato Coordinamento “Progetto Meridiano”